Congedi e altri auspici nella svizzera di oggi

Dopo le recenti elezioni federali e all’inizio non solo della nuova legislatura, ma anche del decennio appena scoccato, è lecito chiedersi che politica ci porterà il futuro a livello nazionale. Un segnale importante il Parlamento federale lo ha già dato in autunno, approvando, con ampie maggioranze, un congedo paternità di dieci giorni pagato dai datori di lavoro, siano essi multinazionali o piccole imprese di famiglia. Durante il dibattito parlamentare si sono invocati a più riprese i tempi che sono cambiati e con essi le sensibilità nei confronti dei padri. Come dar torto a queste interpretazioni di una sedicente nuova società, che certamente oggi pone gli accenti diversamente rispetto al passato?

Opporsi al giorno d’oggi alla possibilità per giovani padri di iniziare la loro esperienza con due settimane di congedo non è molto popolare. Eppure, ritengo opportuno sviluppare alcune riflessioni in merito a questo auspicio, perché all’ordine del giorno della politica federale c’è una lunga lista di nuove presunte esigenze di natura sociale.

Giustificato da quasi tutti i partiti con la necessità di creare margini per conciliare lavoro e famiglia, non si capisce bene in che modo i dieci giorni di congedo una tantum possano concorrere al raggiungimento di questo obiettivo. Quest’ultimo vien raggiunto soprattutto attraverso modelli di lavoro flessibili – oggi sempre più diffusi – e l’accessibilità di asili nido; misure queste che permettono realmente alle coppie di suddividersi l’attività familiare e quella professionale. La volontà di imporre a livello legislativo una soluzione unica, identica per grandi imprese multinazionali così come per microimprese con 203 collaboratori, è difficile da comprendere: è poco svizzera perché impone dall’alto regimi che possono essere disciplinati a livelli inferiori. Ma è ancor meno rispettosa del partenariato sociale, questa nostra istituzione che permette di raggiungere compromessi fatti su misura per ogni settore economico. Ma tant’è, queste riflessioni lasciano il tempo che trovano: il congedo di dieci giorni sarà verosimilmente una realtà e le imprese, una volta ancora, saranno capaci a far fronte a queste nuove disposizioni.

Mi chiedo però se il problema non stia altrove e più in profondità: sembriamo vivere in tempi dove il cittadino chiede sempre più spesso allo Stato cosa lo Stato possa fare per lui, dimenticando che le risorse dello Stato non si finanziano se non con i contributi degli stessi cittadini e delle imprese. Che sia per queste ragioni che la lista dei desideri si allunga sempre di più? Basterebbe osservare i nostri paesi vicini per rendersi conto in quali paludi conduce questa strada!

Quello di cui noi tutti – madri e padri – abbiamo bisogno sono posti di lavoro stabili e in grado di generare salari interessanti anche in un contesto economico internazionale. In passato questo obiettivo l’abbiamo raggiunto rimboccandoci le maniche, tutte e tutti. Affinché questo sia possibile anche in futuro è opportuno focalizzarsi sulle vere necessità della società odierna e non invocare qualsivoglia sensibilità per concedere qui e là nuove prestazioni sociali, sicuramente comode e apprezzate, ma che prima o poi rischiano di mettere in difficoltà proprio chi lavora.

L’opinione di Gian-Luca Lardi è stato pubblicato nel «Corriere del Ticino».