«L’economia ticinese ha bisogno di frontalieri»

3 Dicembre 2015 5 domande a…

I sindacati affermano sempre più spesso che i lavoratori svizzeri sono espulsi dal mercato del lavoro a causa di lavoratori stranieri. Ciò giustifica la loro richiesta di misure più protettive per i lavoratori locali. Ma anche nel cantone di confine Ticino tali timori sono infondati, come ha dimostrato uno studio del professor Rico Maggi dell'Università della Svizzera italiana di Lugano.

Cosa caratterizza il mercato ticinese del lavoro rispetto al resto della Svizzera?
A causa della sua vicinanza all’Italia, dove prevale ancora la crisi economica, il mercato del lavoro ticinese ha un numero molto più elevato di lavoratori transfrontalieri e un livello salariale leggermente inferiore rispetto al resto della Svizzera. Inoltre, il tasso di disoccupazione in Ticino è più elevato, ma si è recentemente avvicinato alla media svizzera. Grazie ai pendolari transfrontalieri, l’economia ticinese è in crescita, il che crea anche nuovi posti di lavoro per la popolazione locale. Rispetto ad altre regioni periferiche della Svizzera, il divario salariale tra manodopera indigena e straniera in Ticino è particolarmente ampio, a favore dei cittadini ticinesi. Ciò spiega anche il diffuso timore della popolazione di essere costretta ad uscire dal mercato del lavoro a seguito dell’assunzione di personale straniero a costo inferiore.

Nel suo studio, non si trova tuttavia nessun indice a supporto di tale fenomeno. Come interpreta questo risultato?
Esso mostra che l’economia ticinese dipende fortemente dai frontalieri. Dopo tutto, gli oltre 60’000 lavoratori frontalieri sono confrontati ad appena 6000 disoccupati. E nel resto della Svizzera, non vi sono sufficienti Ticinesi che lavorano per poter sostituire questi frontalieri. Anche altri Cantoni non dispongono di un numero sufficiente di lavoratori idonei, motivo per cui sono costretti ad assumere lavoratori provenienti da zone limitrofe. Per il Canton Zugo, ad esempio, si tratta del Canton Lucerna, per il Ticino della Lombardia. Dallo studio emerge inoltre che le imprese ticinesi impiegano lavoratori stranieri soprattutto perché maggiormente in possesso delle qualifiche richieste o semplicemente perché queste non sono disponibili in Ticino. In altre parole, i lavoratori ticinesi non devono temere di essere espulsi dal mercato del lavoro.

Cosa risponde ai sindacati che evocano volentieri la presunta espulsione della popolazione attiva locale per chiedere un’estensione delle misure d’accompagnamento della libera circolazione delle persone?
Il Canton Ticino è già molto attivo in materia di protezione dei lavoratori: il nostro istituto stabilisce con un modello in quali settori si possono trovare dei salari bassi. Lo Stato, in collaborazione con i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, ha già stipulato 18 contratti normali di lavoro. Di conseguenza ad esempio i salari minimi sono aumentati. Il mercato del lavoro ticinese è già ben protetto e non c’è né dumping salariale né una perdita di lavoratori locali. A questo proposito, i successi dei sindacati li privano sempre più dei loro argomenti a favore dell’estensione delle misure di accompagnamento.

Come spiega il fatto che il tasso d’attività sia nettamente più basso in Ticino rispetto alla media svizzera?
Storicamente, l’occupazione in Ticino è sempre stata inferiore a quella dell’intera Svizzera, anche in tempi in cui i frontalieri erano molto meno numerosi. Negli ultimi anni è addirittura leggermente aumentata. Il nostro studio non si è chinato sulle ragioni di questa evoluzione; probabilmente sono anche di natura culturale. Per le donne, ad esempio, la tradizionale concezione dei ruoli è ancora diffusa e la situazione concernente la custodia dei figli in Ticino non è particolarmente buona. Un’altra ragione possibile è che in Ticino ci sono problemi di inserimento nel mercato del lavoro. Tuttavia, non possiamo verificarlo con i nostri dati.

Come ha reagito alle critiche del Gran Consiglio ticinese quando ha detto che il suo studio è incompleto e non permette di trarre conclusioni sulla situazione del mercato del lavoro ticinese?
Scientificamente il risultato di questo studio è chiaro: come gli autori di altri studi, giungiamo alla conclusione che i lavoratori indigeni non sono sistematicamente rimpiazzati da lavoratori stranieri. Questo non significa, beninteso, che non vi siano dei casi in cui i lavoratori locali siano penalizzati. Tali casi sono fortemente percepiti dall’opinione pubblica, mentre la realtà economica è spesso giudicata in modo errato. Anche gran parte del Parlamento ticinese, insieme alla Segreteria di Stato dell’economia che ha commissionato lo studio, sta chiudendo gli occhi di fronte a questa realtà. Quindi, sebbene preferiscano mantenere la percezione pubblica, paradossalmente hanno criticato il fatto che non abbiamo indagato sul motivo per cui la percezione emotiva nella popolazione differisca dalla realtà basata sui fatti nel mercato del lavoro.