«Un congedo paternità per legge non è sicuramente prioritario»

La crisi, il sostegno all’economia, le riaperture, la previdenza, il ruolo degli imprenditori. Ne parliamo con Valentin Vogt, presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori (USI).

Signor Vogt, Governo e Parlamento hanno stanziato per ora 57 miliardi di franchi per fare fronte alla crisi e adottato una serie di misure. Va bene così o andava fatto di più?
«In occasione della sessione straordinaria il Parlamento ha appoggiato il Consiglio federale e ha approvato prestiti per miliardi di franchi, che corrispondono alla metà dell’odierno debito federale. L’enorme aiuto si giustifica perché l’economia è stata colpita contemporaneamente da uno shock della domanda e dell’offerta. A differenza della maggior parte delle recessioni, questa volta non soffrono solo gli investimenti e la domanda dei consumatori, ma è crollata anche l’offerta, si pensi alla gastronomia o al turismo. A dipendenza dell’evoluzione della crisi, la fattura potrebbe essere molto più alta. Secondo le stime del Consiglio federale, quest’anno la sola assicurazione contro la disoccupazione potrebbe sollecitare fino a 35 miliardi di fondi supplementari. È quindi importante che il Parlamento rimanga prudente e non apra ulteriormente le casse federali».

L’11 maggio siamo entrati in una nuova fase con l’apertura di negozi e ristoranti. Come valuta il programma di riaperture del Consiglio federale? In certi ambienti economici c’è chi lo ritiene eccessivamente prudente.
«L’USI rispetta pienamente le decisioni delle autorità in questa pandemia. Ma ora che le rigide misure stanno manifestando i loro effetti e i contagi sono diminuiti, le imprese, alcune gravemente colpite, devono essere messe in condizione di ristabilirsi. L’economia ha bisogno di una prospettiva chiara per le prossime settimane, affinché la ripresa possa continuare in modo coordinato, graduale e prevedibile».

C’è consapevolezza nel mondo economico che un allentamento troppo rapido delle misure restrittive potrebbe causare altri morti?
«Abbiamo sperimentato tutti come – per proteggersi dalla pandemia e per evitare collassi – sia stato applicato il diritto d’emergenza e come le nostre libertà siano state massicciamente limitate. Con l’allentamento delle ultime settimane spetta ora di nuovo a noi decidere quanto velocemente possiamo tornare alla normalità. La priorità assoluta per i datori di lavoro è rappresentata dai concetti di protezione elaborati nei vari settori in collaborazione con l’UFSP e la SECO».

Se la situazione sanitaria lo consentirà, il 15 giugno riapriranno le frontiere con Germania, Francia e Austria. Cosa si aspetta in termini di benefici economici?
«Il ritorno al regime di Schengen con questi importanti partner commerciali è un grande sollievo. Negli ultimi due mesi il traffico internazionale di passeggeri è diminuito fino al 70%. Circa la metà della nostra economia è orientata all’esportazione. Per questi datori di lavoro i viaggi d’affari sono fondamentali per assicurare la vendita e l’acquisto dei loro prodotti all’estero. Inoltre il turismo transfrontaliero, importante per la Svizzera quale ambita destinazione, ha subito una battuta d’arresto. La consigliera federale Keller-Sutter ha riconosciuto la situazione che minaccia la loro esistenza e ha reagito rapidamente. Secondo l’USI, le domande di permesso di soggiorno o di soggiorno per frontalieri presentate da cittadini dell’UE o dell’AELS prima e soprattutto dopo il 25 marzo devono ora essere trattate più rapidamente».

La disoccupazione è in forte aumento, ci saranno anche molti fallimenti. Come si possono limitare i licenziamenti?
«Siamo grati al Governo per aver adottato misure decisive al momento dello scoppio della pandemia e per aver fornito alle imprese in difficoltà un rapido accesso alla liquidità. Insieme alla Banca nazionale svizzera e alle banche commerciali è stata trovata una soluzione efficace con crediti-ponte. Anche il comprovato sistema di indennità del lavoro ridotto è stato efficace. Grazie a questa assicurazione i posti di lavoro direttamente minacciati possono essere protetti».

Ci sono anche lavoratori vulnerabili. Riuscite a rispettare gli obblighi imposti dalla Confederazione?
«Le regolamentazioni si basano sul principio che – se le misure di protezione possono essere rispettate – anche le persone a rischio devono lavorare. L’ordinanza definisce un’intera cascata di possibili impieghi, tra cui l’home office, il trasferimento temporaneo all’interno dell’azienda e il lavoro con particolari misure di protezione. Solo se nessuna di queste opzioni è possibile per motivi oggettivi il dipendente può rimanere a casa retribuito. A seconda dell’azienda e della durata dell’assenza, questo può però diventare un grosso onere finanziario».

I piani di protezione diramati da Berna sono sufficientemente chiari?
«I concetti di protezione sono una misura centrale nel contesto della ripartenza economica. L’USI è d’accordo che questi concetti devono essere concretizzati in base alle possibilità di ogni settore e che devono essere sviluppati e attuati sotto la responsabilità del datore di lavoro. Un’approvazione ufficiale non cambierebbe la situazione. Potrebbe anche rendere inutilmente burocratici tali concetti, ciò che non è auspicabile in questi tempi. Il datore di lavoro includerà nei concetti di protezione i miglioramenti risultanti dai controlli. Dopo tutto ha l’assoluto interesse a garantire che i suoi dipendenti possano svolgere il loro lavoro in condizioni di sicurezza».

Come può mantenere la competitività l’economia svizzera? Serve un programma congiunturale?
«La produzione economica in Svizzera è attualmente al 70-80% rispetto ai livelli normali. Secondo la BNS, ciò comporta costi mensili tra gli 11 e i 17 miliardi di franchi. Se la situazione economica non migliorasse rapidamente, potrebbero fallire anche aziende sane. È fondamentale che le imprese riacquistino presto un certo margine di manovra, per potersi adattare al meglio alle difficili circostanze. Dobbiamo migliorare ulteriormente le buone condizioni quadro per l’economia locale. Un programma congiunturale dello Stato sarebbe doppiamente problematico, perché agisce sempre in ritardo e nel posto sbagliato. Sarebbe controproducente anche rafforzare la protezione contro i licenziamenti. Non possiamo fermare il cambiamento strutturale, che si intensifica durante le crisi, ma dobbiamo accompagnarlo con intelligenza».

C’è chi propone di frenare l’aumento dei salari e di estendere l’orario di lavoro. Come valuta queste misure?
«Questa crisi non è come le altre. Vi è il rischio di danni irreparabili in caso di rottura delle catene di approvvigionamento o forti scombussolamenti nella divisione internazionale del lavoro. Inoltre molti Stati hanno assunto debiti ingenti per conto dei loro contribuenti. Le conseguenze di queste perdite di benessere ci accompagneranno probabilmente per molti anni. Occorre quindi fare tutto il possibile per incrementare in fretta l’attività economica, controllando al contempo la diffusione del virus ed evitare una seconda ondata. In questo contesto gli aumenti salariali di principio non sono indicati, come non lo è la riduzione dell’orario di lavoro – anche se le singole aziende hanno un certo margine di manovra. In questa crisi contiamo sul senso di responsabilità di tutti gli attori affinché la sicurezza degli impieghi rimanga la priorità assoluta. Quello di cui non abbiamo assolutamente bisogno adesso è una spaccatura della società».

La difficile situazione economica italiana potrebbe causare un aumento della pressione sul mercato del lavoro ticinese. Il ruolo degli imprenditori diventa più che mai fondamentale.
«Il volume degli scambi commerciali tra la Svizzera e la Lombardia è circa lo stesso di quello con la Cina (!). La crisi del Nord Italia sta colpendo tutta la Svizzera, ma è evidente che il Ticino sia il più colpito. Il lockdown sarà probabilmente accompagnato da una riduzione dei pendolari frontalieri, ciò che metterà sotto pressione i sistemi di previdenza sociale del Nord Italia. Al di là della crisi del coronavirus, però, i frontalieri restano una delle maggiori sfide politiche. Se vogliamo garantire l’accettazione a lungo termine della libera circolazione delle persone da parte della popolazione, dobbiamo fare tutto il possibile, soprattutto in Ticino, per eliminarne i punti deboli. Per questo motivo l’USI, insieme alle parti sociali, si è sempre impegnata a garantire le misure di accompagnamento che puniscono le violazioni del livello di protezione dei salari e delle condizioni di lavoro in Svizzera. Gli imprenditori sono quindi responsabili del pagamento di salari che siano in linea con gli standard locali e quindi equi».

La pandemia ha condizionato anche i calendari scolastici e gli esami in alcuni ordini di scuola. Come giudica la situazione e cosa vi aspettate dalle istanze scolastiche per il futuro della formazione?
«L’USI ha contribuito a trovare un compromesso affinché i circa 75.000 giovani possano completare la loro formazione professionale di base quest’estate. Per noi è particolarmente importante che il lavoro pratico abbia luogo. È necessario che queste competenze, importanti sul mercato del lavoro, possano essere valutate e attestate attraverso una qualifica riconosciuta. L’USI lavora inoltre in una task force nazionale per garantire che l’assunzione di apprendisti rimanga una priorità anche durante la crisi e che i giovani continuino a essere assunti al termine dell’apprendistato».

Come inciderà questa crisi sul settore della previdenza? Il vostro piano per il secondo pilastro è ancora sostenibile?
«La crisi coronavirus aumenta la pressione per agire nel settore della previdenza professionale, poiché il patrimonio del fondo pensioni si è ridotto notevolmente a causa del crollo del mercato azionario. Ciò rende ancora più urgente una riforma politica. La nostra proposta è l’unica che soddisfa i requisiti del Consiglio federale, è stata concordata con le parti sociali ed è sostenuta da un’ampia maggioranza dei nostri membri. A nostro avviso un compromesso così equilibrato ha le migliori possibilità
in Parlamento e tra la gente. Alla gente dico: non dimentichiamo che negli ultimi 20 anni nessuna importante proposta di politica sociale è stata vinta contro la resistenza compatta dei partiti di sinistra. In generale, la crisi del coronavirus imporrà di stringere nuovamente la cinghia per quanto riguarda la socialità e concentrarci sul necessario. Un congedo di paternità prescritto dalla legge non è sicuramente prioritario. I datori di lavoro, invece, sono disposti a dare il loro contributo a strutture di assicurazione sociale sane e a prova di crisi. Come la crisi attuale fa capire a tutti, questa è una sfida epica».

Questa intervista è apparsa nel «Corriere del Ticino».