Le vacanze scolastiche in corso sono l’occasione per volgere uno sguardo indietro e uno in avanti sul nostro sistema scolastico federalistico. Gli accenti delle politiche cantonali della formazione sono posti in maniera eterogenea, ciò che si traduce, tra le altre cose, in una quota di liceali molto diversa da cantone a cantone: se essa supera il 40% nei cantoni di Ginevra, Basilea Città o Ticino – in cui sono compresi anche gli allievi della scuola cantonale di commercio di Bellinzona – essa non va oltre il 15% nei cantoni di Uri e San Gallo.
L’ultimo e recente «Rapporto sul sistema educativo svizzero 2018» mette in evidenza come la quota di studenti che abbandonano il liceo nei cantoni in cui le porte alla maturità sono spalancate, come in Ticino appunto, sia ben superiore rispetto alla media nazionale. Anche il tasso di coloro che abbandonano l’università è superiore tra gli studenti dei cantoni in cui la quota di liceali è molto alta. Queste sono tutt’altro che buone notizie per il nostro cantone! Troppi ticinesi optano per la strada liceale senza il necessario potenziale accademico. Le conseguenze di questi «fallimenti» costituiscono spesso un’ipoteca pesante proprio all’inizio di una carriera lavorativa, portando i giovani in una situazione sfavorevole da un punto di vista psicologico, ma anche nella capacità di trovare impieghi e salari di buon livello.
Da anni si discute quindi molto anche del legame più volte evidenziato tra la disoccupazione (e l’assistenza) e il tasso di maturità. Tutti gli studi determinano che maggiore è quest’ultimo in un cantone, maggiore è anche la quota di persone che il mercato del lavoro non può assorbire, spesso per la mancanza di un orientamento pratico necessario sia nel settore secondario, sia in quello terziario. Il prezzo da pagare non è dunque indifferente a seconda della politica di formazione del cantone e il sistema formativo ticinese farebbe bene a considerarlo. In Ticino siamo da troppo tempo ai vertici di tutte le classifiche relative alla quota di liceali, senza però che la nostra economia ne tragga un beneficio concreto in termini di occupazione, di salari e dunque benessere.
Certamente la nostra mentalità latina osteggia un cambio di paradigma. Qui sono sovente i genitori a giocare un ruolo decisivo: Avere un figlio che frequenta il liceo è all’origine di una fierezza che spesso supera le riflessioni oggettive, a tutto scapito dei giovani e in barba a una storia economica del nostro territorio che racconta di successi basati proprio su capacità tecniche e artigianali. Un altro fiore all’occhiello è la formazione duale, invidiataci da molti Paesi e che il nostro ministro dell’economia è chiamato regolarmente a presentare a delegazioni di tutto il mondo.
Considerare il liceo come l’unica via per una carriera di successo non è solo anacronistico, ma in tanti casi assai controproducente per i nostri giovani. Soprattutto con l’avvento delle scuole professionali superiori, le possibilità di successo con una solida formazione professionale sono reali e, spesso, all’origine di retribuzioni ben superiori a quelle di mediocri laureati universitari. La strada verso una maggiore considerazione della formazione professionale è però lunga: sono necessarie la capacità di incuriosire i giovani sin dalla tenera età nei confronti della tecnica e un orientamento professionale cosciente delle mutate condizioni rispetto ad alcuni decenni fa. Determinanti sono anche la capacità di convincere giovani e genitori di una cultura che da tempo hanno perso, che però rappresenta la più concreta delle possibilità per una carriera di successo.