È sorprendente. Mentre mezza Europa innalza l’età di riferimento per la pensione, la Svizzera si aggrappa a mille scuse. Una di questa è che gli anziani vengono sistematicamente emarginati e dopo i 55 anni non trovano più lavoro. Un’età di pensionamento più alta sarebbe quindi antisociale, quasi cinica.
Proprio in Svizzera – un Paese con un tasso di occupazione da record, un basso tasso di disoccupazione e una carenza strutturale di manodopera – un’età di riferimento più alta non dovrebbe funzionare perché i datori di lavoro non vorrebbero assumere persone anziane? È tempo di maggiore obiettività in questo dibattito emotivo.
Più over 60 nel mercato del lavoro che mai
Cominciamo da quello che probabilmente è il dato chiave più significativo: il tasso di occupazione. Questo indica quante persone di una determinata fascia d’età partecipano al mercato del lavoro, sia come lavoratori che come persone in cerca di lavoro. Tra il 2021 e il 2023, il tasso di occupazione per le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni era di circa il 66 per cento. La maggior parte di loro era effettivamente occupata, ovvero il 63 per cento. Si tratta di centinaia di migliaia di persone che evidentemente hanno un datore di lavoro che le impiega. E la quota di questo gruppo di età nel mercato del lavoro continua a crescere, perché il loro tasso di occupazione è in aumento.
Anche la tendenza della fascia d’età compresa tra i 55 e i 64 anni è impressionante: tra il 2010 e il 2024, il numero di persone occupate in questo gruppo è passato da circa 620’000 a 930’000, con un aumento del 50 per cento. In confronto, il numero di occupati tra i 40 e i 54 anni è aumentato solo del 4 per cento. Anche questo è dovuto a ragioni demografiche, ma è possibile solo se i datori di lavoro assumono più lavoratori anziani.
Disoccupati? Gli anziani sono meno colpiti
I lavoratori più in là con l’età hanno un rischio basso di diventare disoccupati. Nell’aprile 2025 il tasso di disoccupazione delle persone tra i 50 e i 64 anni era del 2,6 per cento, inferiore al 3,1 per cento per le persone tra i 25 e i 49 anni. Anche il tasso di persone disoccupate ai sensi ILO – per così dire la «sorella maggiore» del tasso di disoccupazione, definito in modo più ampio e più comparabile a livello internazionale – conclude che la disoccupazione tra i 55-64enni è più bassa rispetto a tutti gli altri gruppi di età. La coorte di età compresa tra i 15 e i 24 anni è di gran lunga la più colpita dalla disoccupazione.
I sindacati amano utilizzare il tasso di disoccupazione a partire dai 60 anni per sostenere che gli anziani non vengono più assunti o addirittura scartati. Ma questo dato dovrebbe essere trattato con cautela, per ragioni metodologiche. Il tasso di occupazione inizia a diminuire già a 55 anni e aumenta a partire dai 60 anni a causa di prepensionamenti, modelli part-time, motivi di salute o decisioni personali. Si modifica la base statistica: il gruppo degli occupati non solo si riduce, ma diventa anche più selettivo. Chi ha più di 60 anni si differenzia strutturalmente dai gruppi di lavoratori più giovani sul mercato del lavoro. Questo ha un impatto sulle statistiche: anche piccole variazioni nei dati sulla disoccupazione – con un denominatore ridotto – portano a tassi sproporzionatamente alti. Quello che a prima vista sembra un aumento della disoccupazione tra gli anziani è spesso un effetto matematico. Per questo motivo, le autorità nazionali e internazionali pubblicano il tasso di occupazione e disoccupazione in fasce di età più ampie.
Chiunque fa comunque riferimento ai dati sulla disoccupazione delle persone di 60 anni e oltre dovrebbe guardare le cifre con cautela: nel 2024, erano disoccupate 1’320 persone di 64 anni – meno della metà rispetto ai 32enni, dove si contavano 3’280 persone disoccupate. Ma il tasso di disoccupazione dei 64enni era leggermente più alto (3,8 per cento rispetto al 3,0 per cento), perché a questa età il numero di persone nella forza lavoro è molto inferiore: quando il gruppo di confronto è più piccolo, ogni singolo caso ha un impatto maggiore sul tasso.
Che sia a 30 o a 60 anni: la disoccupazione è sempre un peso emotivo e finanziario per le persone colpite. Ogni singolo caso rappresenta un problema e deve essere analizzato e sostenuto. Ma l’affermazione secondo cui la disoccupazione aumenta notevolmente dopo i 60 anni non regge a un attento esame.
Persone più anziane cercano lavoro più a lungo
È invece corretto che i disoccupati più anziani impiegano più tempo per trovare un lavoro. I disoccupati di età compresa tra i 50 e i 64 anni hanno impiegato in media 7,9 mesi per cercare un lavoro, mentre la coorte più giovane di età compresa tra i 25 e i 49 anni ha impiegato in media 5,8 mesi.
Ma la disoccupazione di lunga durata tra gli ultrasessantenni non è un fenomeno di massa. Nell’aprile 2025, sono state considerate disoccupate di lunga durata 3’342 persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni. Si tratta di 3’342 persone di troppo e spesso è una tragedia per chi ne è colpito. Ma prendere questo dato come un’indicazione del fatto che i datori di lavoro non sono interessati alle persone più in là con l’età non è corretto.
Naturalmente, ci sono aziende che sono riluttanti ad assumere dipendenti over 60. Ma molto raramente ciò è dovuto all’età. Piuttosto, giocano un ruolo molto più importante altre ragioni: in primo luogo, le persone anziane – a parità di stipendio – sono più costose a causa delle deduzioni LPP significativamente più elevate. La riforma della LPP del 2021 avrebbe posto rimedio a questa situazione. In secondo luogo, il profilo della persona anziana più frequentemente non corrisponde a quello del posto di lavoro vacante. In terzo luogo, i datori di lavoro devono fare i conti con il pensionamento entro pochi anni, ad esempio con il fatto che una persona di 60 anni rimarrà in azienda solo per due o cinque anni. Un’età di pensionamento più alta allevia questa incertezza: una persona che a 60 anni lavora per sette anni invece che per soli due diventa immediatamente più attrattiva per le aziende. Gli investimenti in formazione continua o in trasferimenti interni tornano a essere paganti.
I collaboratori più anziani diventano sempre più attrattivi
Non c’è dubbio che potrebbe lavorare un numero ancora maggiore di anziani – anche dal punto di vista dei datori di lavoro – poiché il potenziale non è ancora stato esaurito nonostante l’aumento del tasso di occupazione. Sebbene ci sia ancora bisogno di loro, molti anziani abbandonano il mercato del lavoro, per motivi personali o perché le loro qualifiche non sembrano corrispondere ai requisiti necessari sul mercato del lavoro.
Anche l’Unione svizzera degli imprenditori (USI) ha riconosciuto questa sfida e ha lanciato l’iniziativa focus50+. L’obiettivo è quello di promuovere la permanenza degli over 50 nel mercato del lavoro, sensibilizzando le aziende, lavorando per migliorare le condizioni quadro e fornendo un sostegno concreto per il reinserimento delle persone anziane in cerca di lavoro, oltre a promuovere il dialogo tra imprese, scienza e politica.
Questi sforzi ricevono un ulteriore impulso dagli sviluppi demografici: nei prossimi anni, il numero di persone che si ritireranno dalla forza lavoro per motivi legati all’età sarà superiore a quello di nuove persone che si aggiungeranno. L’immigrazione può fornire un sollievo, ma anche i Paesi vicini si trovano ad affrontare le stesse sfide e fanno sempre più leva su incentivi per il rientro dei lavoratori. Parallelamente molte persone possono permettersi di andare in pensione prima.
Tutto ciò intensifica la competizione per disporre di manodopera qualificata. I collaboratori over 55 saranno ancora più richiesti in futuro e le aziende saranno portate e indotte a offrire a questa generazione un ambiente di lavoro attraente e apprezzabile.
I fatti sono chiari: sempre più anziani lavorano, la disoccupazione in questa fascia di età è bassa e il mercato del lavoro ne ha bisogno più che mai. Le prospettive future per i lavoratori anziani sono buone e stanno diventando ancora migliori grazie alle tendenze descritte sopra. Un innalzamento dell’età di riferimento non solo sarebbe sostenibile per l’economia svizzera – sarebbe una medicina per la carenza di manodopera e un grande aiuto per l’AVS – e quindi particolarmente auspicabile per i giovani, il ceto medio e la popolazione attiva.